Poche idee e molto confuse
Ahimè, rieccoci qui! Sì, purtroppo ci siamo imbattuti in un altro esemplare di “Stanze da incubo” , e no, non è un elogio al tema horror – nonostante il periodo di Halloween! Ci sono stanze che, diciamolo, non dovrebbero proprio esistere . Una vera e propria offesa per chi ama davvero le Escape Room , un insulto agli escaper e ai Game Master che si sbattono per creare qualcosa di decente! Ma procediamo con ordine .
Avevamo letto l’annuncio dell’apertura di una nuova Escape Room su uno dei gruppi di entusiasti a cui siamo iscritti: il proprietario si era presentato bene e sembrava sapere il fatto suo . Per cui, individuato il giorno, abbiamo prenotato e ci siamo presentati nella sede della compagnia .
Cioè, diciamo che non siamo riusciti ad individuare subito l’ingresso ; ci siamo passati davanti un paio di volte, cercando magari un portone, un’insegna . In effetti, all’indirizzo indicato si trovava una banca, evidentemente non più in attività o in fase di ristrutturazione, con un manifesto in formato B2 appeso su una delle due vetrine.
Sull’altra vetrina, davanti l’ingresso della porta, si trovava quello che avevo scambiato per un operaio , che faceva la pausa durante i lavori di ristrutturazione della banca . Sigaretta in mano, vestito con una canottiera scura lisa ed oversize, pantaloni e scarpe antinfortunistica, dalla testa ai piedi sporco di pulviscolo di NDD (natura da diagnosticare) .
Mi sono avvicinata al volantino ed ho riconosciuto il nome dell’Escape Room! Quella era l’insegna! Praticamente, faceva prima a chiamare l’attività come l’ex banca, così aveva già l’insegna pronta. Visto che mi dilungavo sul volantino, l’operaio si gira e ci chiede se fossimo lì per giocare; eh si, rispondo non molto sicura, intuendo che dovesse far parte dello staff. Venite dentro. Ok. Sarà l’inizio di un’experience?!
L’ingresso era così triste e spoglio (insomma, neanche un volantino attaccato alla reception!) che per un attimo ho pensato di essere entrata davvero in una banca abbandonata . Siete aperti da poco? Ma loro: no, tranquilli, abbiamo aperto da quasi un anno, dice il tizio. Ok.
Tra box di vetro, mini-cantieri improvvisati qua e là, attenti a non inciampare (noi, i diversamente dotati di dispositivi di protezione individuali), arriviamo alla “stanza”. Un altro box di vetro, decorato con… giornali . Alcuni perfino con le offerte del supermercato . Ok.
Già da qui avevo capito abbastanza, ma il peggio – stava dentro. Enigmi tra il ridicolo e l’assurdo, senza alcuna logica né coerenza, torce UV in lotta con l’illuminazione accecante della banca e un gameplay che era un insulto alla pazienza . Chiedo perché un enigma si dovesse fare in un quel modo, cosa me lo indicasse. “Eh, provi un po’ tutto, alla fine ci arrivi.” Ok. È il metodo scientifico!
Alla fine, usciamo e ovviamente arriva la domanda fatidica: “Allora, come vi è sembrata?” Rispondiamo educatamente, facciamo notare qualche criticità (leggi: tutto sbagliato ). La sua risposta? “No, non può essere. C’è gente che la finisce in 44 minuti.” Ok, grazie, ma cosa c’entra? .
Il capolavoro arriva quando ci chiede come fare per partecipare al TERPECA . Sì, hai capito bene: TERPECA, il premio delle migliori Escape room al mondo . Con un aplomb degno di una conferenza diplomatica, gli chiedo se sa di cosa stia parlando . Risposta: no. Gli faccio qualche esempio di stanze premiate, tra cui alcune della concorrenza locale. Non ne conosceva manco una. Lui, che “ha giocato un paio di Escape room”, ma non ricorda dove, quando, né i titoli. Pensate quanto devono essergli piaciute. E hai pensato di farne la tua attività principale? Ok.
Continuo ad essere convinta che questo tizio non abbia mai messo piede in una Escape room in vita sua e che abbia pensato che fosse un business facile per fare soldi . Genio dell’imprenditoria! Eh no, non c’è niente di OK in tutto questo .
A volte, il vero mistero non è risolvere un enigma, ma capire come certi posti abbiano aperto i battenti .
Morale della favola? A quanto pare, le Escape Room non sono un business per tutti! Alcuni dovrebbero evitare di prendere alla lettera l’idea di “fuga” e, magari, dedicarsi a un business più adatto alle loro doti… tipo, boh, un bar “misterioso” dove l’enigma è se la birra è fresca o scaduta .
E a chi si avventura in queste stanze da incubo, auguriamo tanta fortuna e pazienza zen , perché a volte l’unico enigma che rimane è come scappare dalla “fuga” stessa.
Insomma, se siete dei veri escaper, il miglior consiglio è di guardare sempre due volte l’insegna… soprattutto se sembra quella di una banca fallita .